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Si può diventare amiche dicendo: «Io avrò cura di te»

 Si può diventare amiche  dicendo: «Io avrò cura di te»  ODS-019
02 marzo 2024

Nel mare magnum della povertà c’è un elemento che costituisce — come in un gioco di scatole cinesi o di “matrioske” — un problema particolare nel problema più generale: si tratta delle donne che vivono in strada.

Ce ne parla Federica, da molti anni operatrice della Comunità di Sant’Egidio, con la quale svolge attività di assistenza a tutto campo: operatrice presso Palazzo Migliori — la casa d’accoglienza voluta da Papa Francesco per i senza dimora che vivono intorno a piazza San Pietro —, assistente in un co-housing, operatrice di strada e quant’altro ci sia da fare.

Il primo concetto che emerge con forza è che, se la vita in strada è dura e difficile per tutti, per le donne lo è il doppio, anche perché sono molto meno degli uomini, il che, di per sé, è già uno svantaggio.

Il fatto di non disporre di una casa, una cucina, di non poter curare come si vorrebbe l’igiene personale ed il proprio aspetto sono fattori di disagio, di mortificazione, di sofferenza e di ulteriore stress. Tutto è doppio: a cominciare dalla paura e dal rischio di umiliazioni, furti, prepotenze, prevaricazioni, aggressioni, e violenze di ogni tipo.

Di fronte a tutto questo vengono messi in atto meccanismi di auto-difesa, che possono essere i più disparati. Si va dallo stringere pseudo-rapporti di coppia, in realtà basati esclusivamente sulla dipendenza che scaturisce dal bisogno, allo sviluppo di pura e semplice aggressività che, occasionalmente, si può volgere perfino verso l’operatore che pure sta cercando, come può, di portare aiuto. Ma quest’ultimo, in realtà, non è il vero “nemico”: anche un’amica può essere all’inizio confusa con tutto il mondo esterno, con tutti coloro fuori di te che rappresentano in maniera indistinta quelli che hanno causato la tua miseria e non l’hanno capita.

In generale, nella migliore delle ipotesi, quando ci si fa prossimi a chi vive in strada si sconta comunque tanta diffidenza, almeno all’inizio, perché la donna in difficoltà ha bisogno di conoscere l’operatore/operatrice, capire com’è, prima di potersi fidare. “Amicizia” — ci spiega Federica — è la parola chiave ed “empatia” è la parola d’ordine: la capacità di immedesimarsi, anche se non è cosa facile.

Se questa dinamica virtuosa si innesca si può arrivare invece ai casi che Federica ci racconta. Cita l’esempio della signora armena, bloccata in Italia dalla guerra, che con passione ha aiutato la Comunità di Sant’Egidio ad accogliere le rifugiate giunte a Roma dall’Ucraina. Oppure racconta il caso di un’amica che vive in un “co-housing” che, dopo anni in strada, adesso collabora nella conduzione della casa superando solitudine e diffidenza.

Ma c’è un ultimo elemento che colpisce ed impressiona: la malattia, anche quella psichiatrica, così diffusa nella nostra società, è spesso una patologia con cui si fa fatica a fare i conti. Tante donne si ritrovano a vivere da sole perché nessuno le difende, nessuno le comprende, nessuno si mette dalla parte loro, nessuno le accompagna e nessuno le cura.

Alla fine Federica ricorda la storia di Angela, che dopo anni duri passati a combattere in strada contro il freddo e tanti altri nemici, è riuscita, grazie ai volontari, a far valere i suoi diritti ad essere curata e ad avere una casa vera. Molte donne, come Angela, oggi felice, riescono ad uscire dalla vita per strada grazie all’amicizia di una donna come loro che dice, come quella vecchia canzone di Battiato: «Sei un essere speciale, ed io avrò cura di te…».

di Fabrizio Salvati