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La voce delle donne

 La  voce delle donne  ODS-019
02 marzo 2024

La prima è stata Bijoux, l’ultima Tsetsege. Donne diverse, di latitudini totalmente opposte — una a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo; l’altra a Ulaanbaatar, in Mongolia — accomunate dall’aver vissuto l’esperienza della povertà materiale, che porta a girare nella spazzatura per cercare qualcosa che sfami undici figli, o aver subito la povertà morale di chi, come i ribelli del nord Kivu, non ha scrupoli a violentare «come un animale» una ragazzina minorenne. Accomunate, pure, queste due donne dalla ricchezza. La ricchezza non dei mezzi, ma dello spirito proveniente da una fede radicata, la stessa che permette di perdonare il proprio aguzzino o di accendere la scintilla della devozione in una comunità cattolica di poco più di 1.500 membri.

Le due donne, Bijoux e Tsetsege, sono due dei tanti volti che Papa Francesco ha incontrato e accarezzato durante i cinque viaggi apostolici compiuti nel 2023. Il primo nella Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan (31 gennaio-5 febbraio); poi Ungheria (28-30 aprile); Lisbona, per la Gmg, con una tappa a Fatima (2-6 agosto); Mongolia (31 agosto-4 settembre); Marsiglia (22-23 settembre).

Cinque pellegrinaggi animati ognuno da differenti “tematiche”, ma che sempre hanno visto un momento di incontro — incastonato tra quelli con autorità civili ed ecclesiali — del Papa con gruppi di «poveri». Intesi come gli abitanti degli slum di Kinshasa e dei campi per rifugiati di Juba, donne sole e vittime di violenza fuggite dai villaggi al confine col Rwanda, profughi della guerra in Ucraina, malati a Fatima, pastori e contadini delle steppe mongole, immigrati accolti nella multietnica società marsigliese. Momenti intensi, di condivisione e restituzione, di testimonianza fatta non solo di parole, ma anche di gesti e sguardi, di arricchimento reciproco: da parte del Papa, per la sua presenza orante; da parte di tutta questa gente, perché con le loro storie portate avanti nonostante le difficoltà hanno dimostrato che esiste realmente un senso alto della vita che non è solo quello del possesso di beni materiali o di una buona salute. «Mi ha fatto bene come prete, come pastore», è sempre stato il commento di Francesco dopo questi incontri.

Kinshasa: porre ai piedi di Cristo
il dolore per le atrocità subite

Chi, il pomeriggio del 1° febbraio, era seduto nel salone coloniale della Nunziatura di Kinshasa, difficilmente potrà dimenticare l’espressione commossa di Jorge Mario Bergoglio nel sentire la storia di Bijoux Mukumbi Kamala, letta da un’altra ragazza, Kissa, visto che Bijoux, a 17 anni, ha difficoltà nella lettura. Ne aveva tre di meno quando, mentre andava a prendere l’acqua al fiume con altre ragazze, ha trovato alcuni ribelli che l’hanno portata nella foresta. Ognuno si sceglieva la donna che voleva, a lei l’ha presa il comandante.

«È stata una sofferenza atroce... Mi violentava più volte al giorno, quando voleva, per diverse ore. E questo è andato avanti per un anno e sette mesi», ha raccontato la giovane.

Per un colpo di fortuna è riuscita a fuggire con un’amica, ma a casa è tornata incinta di due bambine gemelle. Le altre amiche rapite «non sono più tornate».

Alla testimonianza di Bijoux è seguita quella di altre persone, principalmente donne.

Tra loro Emelda M’Karhungulu di Bugobe, a sud-ovest di Bukavu. Anche lei con difficoltà nella lettura, anche lei rapita e violentata a 16 anni dai ribelli che avevano fatto un’incursione nel suo villaggio. Oltre alle violenze indicibili, la ragazza ha raccontato che i rapitori «ci hanno fatto mangiare la pasta di mais e la carne degli uomini uccisi». Anche Emelda è riuscita a fuggire.

Le due ragazze, insieme ad altre compagne e compagni, hanno compiuto quel giorno dinanzi al Papa un gesto che è stata una lezione di cristianesimo per tutti i presenti: ai piedi di un enorme crocifisso di legno hanno posto un oggetto, memoria delle atrocità loro inflitte: chi una stuoia, chi un martello, chi un coltello... Un modo per dire che quelle sofferenze sono ora nelle mani di Cristo perché porti perdono e guarigione.

Juba: solo pace e amore
per tutti i bambini del Sud Sudan

Commozione ed emozione, le stesse vissute pochi giorni dopo a Juba, quando il Papa, affiancato dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e dal moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, Ian Greenshield, ha incontrato nella Freedom Hall della capitale sud sudanese una rappresentanza dei tanti profughi dei vari campi, che per la guerra o la crisi climatica hanno lasciato famiglie e abitazioni. Numerose le donne — vedove, abbandonate, giovani, anziane —; tantissimi i bambini, tra cui Nyakuor Rebecca, una “piccola donna” che ha offerto la sua testimonianza commossa al Pontefice ringraziandolo perché «nonostante il suo ginocchio dolorante» era andato a trovarli, «portando speranza e un messaggio di pace».

Per il Papa, la bimba aveva solo una richiesta: «Una benedizione speciale per tutti i bambini del Sud Sudan, per poter crescere insieme in pace ed amore».

Budapest e Fatima: pezzi di missile
per ricordare
le vittime della guerra in Ucraina

Semi di speranza ritrovati da Francesco ad aprile anche nell’antica Budapest dove, nella chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria, il 29 aprile, ha potuto toccare il coraggio di tante mamme, nonne, figlie, nuore, sorelle, migranti, Rom, rifugiate di guerra, dal Pakistan o dall’Ucraina, che hanno dovuto ricostruirsi una intera vita.

Resta impresso il volto della madre ucraina, di lingua russa, che insieme ai suoi figli ha ripetuto più volte il suo «grazie al Papa» per le preghiere e gli appelli per la «martoriata Ucraina», balsamo sulle ferite del conflitto.

Donne forti, donne resilienti, donne che lottano contro le ingiustizie e il dolore. Quello del popolo ucraino si è ripresentato agli occhi del Papa anche nel contesto gioioso della Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona, quando il Pontefice, in una pausa delle celebrazioni con il milione e mezzo di giovani venuti dai cinque continenti, si è ritagliato un momento di dialogo nella Nunziatura apostolica con 15 profughi del Paese aggredito. Anche in quel caso donne, ragazze e adulte, sono state protagoniste. Prima fra tutte la signora Irena che a Francesco ha consegnato parti dei missili caduti nella loro parrocchia. Non solo pezzi di ferro, ma il simbolo della distruzione di chiese, case, vite. Di migliaia di gente uccisa senza pietà né giustizia.

A Lisbona il Papa ha incoraggiato chi lotta contro i conflitti, ma anche chi lotta con una guerra silenziosa quale può essere una malattia totalizzante. Edna Pina Lopes Rodrigues, affetta da un grave morbo, ha ricevuto la benedizione del Pontefice. Quella che già le aveva inviato due mesi prima, assicurando affetto e preghiere.

Una celebrazione della vita il saluto a Edna, come lo è stato pure l’incontro, il medesimo giorno e sempre nella Nunziatura della capitale portoghese, con Maria da Conceição Brito Mendonça, signora di 106 anni nata il giorno delle apparizioni di Fatima (13 maggio 1917). A lei il Papa ha inviato di recente pure un videomessaggio per chiederle di continuare a pregare il Rosario che la donna gli aveva detto di recitare ogni giorno da anni.

Ulaanbaatar: una statuetta
della Madonna
trovata tra la spazzatura

Davvero un esempio di quella fede dei “nonni” assurta dal Papa a modello e tesoro da custodire. Una fede genuina, in alcuni casi fiorita da adulti, senza alcuna conoscenza delle basi del cristianesimo, ma solo per istinto e moti del cuore. È il caso, affascinante, della già citata Tsetsege, l’anziana quasi settantenne divenuta simbolo dell’intero viaggio in Mongolia. Una donna di cui solo le rughe rivelano l’età, altrimenti avrebbe avuto l’aspetto di una bambina, con il suo caschetto corto, la bassa statura e il corpo reso ancora più minuto dagli stivaloni in pelle di yak.

È conosciuta in tutta la Mongolia perché è stata lei, una decina di anni fa, a ritrovare in una discarica la “Madre del Cielo”, la statua in legno della Madonna che il cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar, ha intronizzato nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo affidandole l’intera Chiesa del Paese centroasiatico.

La piccola pastora — lo raccontava lei stessa ai media vaticani — stava «lavorando» tra i rifiuti nel distretto di Tarhan, cioè rovistava come tanti poveri in Mongolia in cerca di cibo e oggetti da rivendere, quando dai sacchi scaricati dal camion ha visto emergere un involucro di stoffa con dentro una scultura di legno di circa 62 cm e le fattezze di una «bella signora». Pur non avendo nessuna conoscenza del cattolicesimo, ha subito intuito che doveva salvare quella statua. L’ha conservata in casa, dove l’hanno vista le Missionarie della Carità con cui era in contatto che hanno suggerito alla donna di raccontare tutto al cardinale Marengo. Il giovane porporato ha voluto estendere la devozione alla intera comunità cattolica.

La statua ha accompagnato tutte le tappe del Papa a Ulaanbaatar. E il Papa ha voluto rendere omaggio a Tsetsege prima della visita in cattedrale, andandola a trovare in una ger, la tipica tenda usata dai pastori, scambiando pure qualche parola. «In realtà non ci siamo detti molto...», raccontava lei. «Il Papa mi ha benedetto qui sulla fronte e mi ha augurato lunga vita. Io gli ho augurato quello che si augura durante il Isagaan Sar, il nuovo anno lunare, cioè la salute, un buon lavoro come leader della Chiesa e soprattutto la benedizione degli antenati».

Innumerevoli volti, insomma, tantissime storie, diversi scenari, aneddoti e testimonianze quelli incontrati e raccolti in meno di dodici mesi dal Papa nei suoi pellegrinaggi internazionali. Con le donne sempre in prima linea, promotrici di speranza e prime annunciatrici della Buona Notizia. Oggi, come duemila anni fa.

di Salvatore Cernuzio