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Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati

 Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati  ODS-019
02 marzo 2024

Chi si accorge che esistiamo?

Signore, siamo noi le pie donne che ti hanno accompagnato sulla via del Calvario nella tua e nostra sofferenza e nel dolore. Non siamo più le stesse di prima, siamo state abbandonate da tutto e tutti, siamo come fantasmi invisibili agli occhi della gente. Camminiamo senza sapere dove andare. Vivere per strada è brutto, comporta disagi. La gente ci vede sporche. A volte per noi è difficile lavarci o andare in bagno, non c’è posto da nessuna parte, siamo considerate un rifiuto. Ma noi vogliamo ritrovare la nostra dignità.

Dov’è l’amore? Dov’è il cuore?

Chi ha vissuto quest’esperienza sa cosa vuol dire vivere nel disagio. A volte è difficile rialzarsi dopo la caduta. Bisogna farcela da sole e avere coraggio. Io ce l’ho fatta grazie a chi mi è stato vicino e a “Gocce di Marsala”, la mia grande famiglia.

Gesù è nato povero in un’umile grotta, era senza casa come noi che viviamo per strada e che con difficoltà troviamo dove dormire. Abbiamo paura di essere derubate e nessuno si accorge di noi, siamo buttate di qua e di là. Ripararci dal freddo è difficile e ci addormentiamo sotto il cielo stellato.

Ci sarà il risveglio? Chi lo sa? Il freddo uccide, ma l’indifferenza è peggio. Si cammina tutto il giorno alla ricerca di cibo per sopravvivere.

Chi si accorge che esistiamo? Ti buttano come bestie sulla terra fredda e nessuno ti viene a cercare quando sei viva, immaginate da morta. Siamo lo scarto della società.

Signore, sei la nostra speranza, mai ci hai abbandonato nel dolore. Vogliamo amarti sempre di più. Il tuo dolore è anche il nostro. Ci hai amate fino alla fine, fino alla croce, quella croce che portiamo ogni giorno nella sofferenza. La vita ci appare buia, ma Tu sei la nostra luce. Fa’ che il nostro cuore sia capace di amare e diventi bellezza. Ci basta il tuo amore, ci basti Tu. Non siamo sole. La cosa più bella è starti accanto e così il buio sarà luce.

Non smettere di prendersi cura di sé

È difficile, veramente molto difficile, per una donna bianca o nera, o di una qualsiasi altra etnia, adattarsi a vivere in un centro di accoglienza per persone senza dimora. Le motivazioni, mi sono resa conto, sono completamente diverse da una donna all’altra. Ci metto dentro anche me, che vivo in una struttura di accoglienza da un po’ di tempo.

Vedo buttare per terra carte e assorbenti, sporcare i bagni in maniera vergognosa, sciupare tanto di ciò che viene dato.

Una volta ho chiesto a una signora che stava buttando del pane perché lo facesse. Lei mi ha risposto: «Che ti importa? Tanto questa non è casa tua!». È il disprezzo totale per quello che viene dato.

So che è difficile convivere in una stanza in sei persone, completamente diverse l’una dell’altra, dividere il bagno e la doccia. È questione di cultura e di educazione a 360 gradi.

Più di una volta ho proposto di coinvolgere queste persone in qualche attività, una qualsiasi pur di non farle girovagare a vuoto. Ma tante non vogliono, dico, non vogliono capire e questo rende molto difficile anche la vita degli operatori.

Il problema è quando ci si lascia andare e non ci si prende cura neanche di sé stesse. Diversamente da quanto fanno molte donne slave che credono ancora al principe azzurro e pensano, forse, di trovare un giorno l’uomo ricco che le sposi. Si truccano, si fanno il colore ai capelli, cambiano abito.

Senza alcuna presunzione, dico che anche in un ostello le donne non devono smettere di prendersi cura di sé. Devono vestirsi sempre bene, truccarsi, pettinarsi, cercare di continuare ad avere una vita sociale e soprattutto impegnarsi a trovare un lavoro, cosa che rende la vita più attiva. Un consiglio che do a tutte le donne: datevi da fare anche nelle piccole cose.

Quante cose dimentichiamo
noi uomini

Sono tante le donne che, ogni giorno, devono fare i conti con la povertà e la miseria. Molte di loro le vediamo per le strade, mentre se ne stanno, con i loro quattro stracci, appoggiate su una panchina subendo il giudizio della gente e rischiando violenze e soprusi.

Spesso le guardiamo e tiriamo dritti. Ma se ci fermassimo a parlare un pochino con loro, a farci raccontare la loro storia, scopriremmo che sono persone stupende. Tante hanno studiato, avevano un lavoro, altre sono state mogli, mamme e, poi, si sono ritrovate così... senza niente, a vivere in strada. Qualcuna avrà commesso qualche errore, qualcun’altra sarà stata solo sfortunata, ma in tante si trovano in quelle condizioni per colpa di un “uomo”, un compagno sbagliato che le ha usate, sfruttate e poi abbandonate.

Troppe volte, noi uomini dimentichiamo che è stata una donna a metterci al mondo.

Dovremmo invece essere sempre riconoscenti perché sono loro che danno amore e sono loro che fanno crescere la vita. Tutte. Anche quella donna che vedi lì, a quell’angolo della strada, e che tu, se l’ascoltassi, diresti che merita una medaglia. Quella donna è arrivata dall’Africa
su un barcone, tenendo in braccio per tutta la traversata non solo suo figlio, ma anche quello di un’altra madre morta nel deserto.

Per la strada puoi incontrare persone stupende, ma solo se non tiri dritto.

Classificare è più facile
che capire

Non basta trovarsi senza un tetto e senza un lavoro. Non basta umiliarsi a raccogliere qualche cartone per cercare di ripararsi dal freddo. Non basta mettersi in fila per avere qualcosa da mangiare o fare una doccia, sperando che ci sia ancora acqua calda. No, non basta. Quando hai perso tutto, l’unica cosa che non ti manca sono i pregiudizi della gente.

Ai maschi attaccano l’etichetta di “barboni”. Ma alle donne fanno di peggio, come se parlare di senza dimora al femminile significhi, per forza di cose, parlare di prostitute, di cattive mogli e pessime madri. D’altra parte si sa, classificare è più facile che cercare di capire.

Le statistiche ci dicono che le donne sono una minoranza rispetto agli uomini che vivono in strada. Ma le loro condizioni sono di gran lunga peggiori. Una società che esclude e scarta chi non serve più o dà fastidio è ancora più crudele con le donne, esponendole al pericolo di violenze e angherie o di finire nelle grinfie di qualche sfruttatore.

Voi, che fate presto a chiamarle “straccione”, provate allora a pensare a queste donne sole, di notte, costrette a difendersi da tutto e da tutti, non solo dal freddo. Provate a pensare a cosa possano provare, a quante e quali ferite possano segnare il loro corpo e la loro anima.

E se ci riuscite, allora provate ad andare loro incontro, con rispetto e gentilezza. Provate ad ascoltarle. Anche un piccolo gesto, un sorriso può essere prezioso.

Lia

Giuliana

Domenico

Elio