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DONNE CHIESA MONDO

L’Oasi della Pace può essere guidata da uomini o donne

Alla prova della misteità

 Alla prova della misteità  DCM-002
03 febbraio 2024

Le chiome argentate degli ulivi si muovono dolci al vento delle colline fuori Roma. Una strada di campagna s’inerpica dalla via Salaria, l'antica via consolare romana. I cartelli indicano vicina l’antichissima abbazia di Farfa, che fu un baluardo religioso nel Medioevo. Ed ecco un cancello moderno con una grande statua di san Giuseppe sulla sinistra, un san Michele Arcangelo sulla destra. È il segno di benvenuto della Comunità Mariana - Oasi della Pace. Vi appartengono uomini e donne di vari stati di vita. Secondo il codice di diritto canonico, la Comunità è un’associazione pubblica di fedeli di diritto diocesano, in cammino per il riconoscimento come Famiglia ecclesiale di vita consacrata. I consacrati e le consacrate hanno pronunciato voti ancora privati, e tutti, fratelli e sorelle, i consacrati di vita comune come quelli secolari, e gli sposi, condividono il medesimo fine spirituale che sintetizzano così: «Intercedere per la pace e realizzare la pace in ogni luogo e situazione, sotto la guida di Maria».

Siamo a Passo Corese, frazione di poco più di 6mila abitanti del comune di Fara in Sabina, provincia di Rieti: la pace della Sabina, storica provincia dell’Italia centrale, circonda questa comunità. Ci accoglie padre Martino Lizzio, il responsabile generale delle Comunità - Oasi della Pace. «Benvenuto». Un largo sorriso. Una stretta di mano. E ci lascia in compagnia della sua vicaria, che ci fa da guida. Suor Daniela Veltri studiava da psicologa e rimase folgorata da una missione della Comunità nel suo comune, poco distante. Indica con la mano i caseggiati, bassi, a un piano, in mattoni rossi, a formare un largo quadrilatero.

Al centro, una grande statua della Madonna. «Cominciamo da qui, perché è qui che tutto comincia», dice.

Chi ha progettato e realizzato questa comunità, aveva ben presente l’esempio del passato. Tutto è moderno: le case, i camminamenti, la statua. Ma si sente un’aria antica. Certo, siamo nel Terzo millennio, sui tetti ci sono i pannelli fotovoltaici, ma siamo anche nel chiostro di un monastero.

Intorno a noi si muovono silenziosi i fratelli e le sorelle della comunità. Fratel Mathias da Silva ha appena fatto il caffè. Una sorella, anziana, esce dalla cappella dove ha concluso la sua ora di adorazione. Uomini e donne insieme, di tante provenienze e lingue. E non ci sono solo consacrati. A pregare in cappella c’è anche un anziano, non consacrato. È questo il colpo d’occhio che colpisce già all’arrivo: una comunità mista «che si basa sul dialogo, il rispetto, la pace interiore, senza negare la fatica che ciò comporta».

Sin dalle origini, la comunità vede la compresenza di uomini e di donne. Vivono assieme la loro consacrazione. «Anche questa è una testimonianza di pace», dice suor Daniela. È previsto dalla forma giuridica della comunità, dove, a livello locale come generale, può esercitare l’autorità sia un uomo che una donna. E infatti, dal 2001 al 2013, subito dopo il padre fondatore, la comunità è stata guidata da una Responsabile generale, madre M. Valentina Fregno. Spiegano: «Anche gli altri servizi e ministeri per la vita e la missione della comunità possono essere indifferentemente conferiti ad un consacrato o ad una consacrata».

Per capire come tutto sia cominciato dobbiamo partire da Medjugorje, in Bosnia-Erzegovina, prima metà degli Anni Ottanta. Si legge in una storia della comunità: «Molti erano quelli toccati dall’incontro con la Regina della pace. Maria, per così dire, “li aveva incontrati” ad un crocicchio della vita e li aveva portati all’autore della pace, Gesù».

Tra gli altri, c’era un sacerdote passionista di Verona, Gianni Sgreva. Un uomo colto, esperto di patristica, curioso di quel che sentiva accadere a Medjugorje, ma non del tutto convinto. Racconta suor Daniela: «Padre Sgreva fu toccato anch’egli dalla grazia della terra medjugorjana. Provò a dirigere quei giovani in alcuni monasteri, ma tornavano a lui. Ebbe così l’intuizione di creare spazi di preghiera che potessero facilitare l’incontro dell’uomo con Dio, “cliniche specializzate per malati di cuore”, come amava esprimersi».

Nacque così la prima Oasi, il 18 maggio 1987 a Priabona, in provincia di Vicenza. Tre anni dopo, la diocesi suburbicaria di Sabina-Poggio Mirteto concedeva il primo riconoscimento ecclesiastico. E ora siamo qui, tra dodici ettari di ulivi, dono alla Comunità di una benefattrice. Ci sono case basse in mattoni che fanno corona alla statua della Vergine. Sale comuni, alloggi separati per fratelli e sorelle, una infermeria per le più anziane, spazi per alloggiare gli ospiti, una biblioteca, cucina e refettorio. L’ambiente è misto. Ventidue sono ad esempio i consacrati presenti nella comunità di Passo Corese, di cui 9 fratelli e 13 sorelle. Nel mondo ci sono altre sei Comunità mariane con 80 consacrati tra Italia, Bosnia-Erzegovina, Brasile e Camerun, con la costituzione di centri di spiritualità, che si sono rivelati “Oasi di pace” per molti, e la gestione di importanti santuari mariani a Quixadà (nel Brasile settentrionale), Mbalmayo (in Camerun) e Deliceto (nell’Italia meridionale).

La vita è scandita da preghiera e contemplazione. «Siamo una comunità fondamentalmente contemplativa, ma non disincarnata. C’è molto lavoro da fare per tutti» dice suor Daniela. E molta preghiera. «Che per noi non è vuota spiritualità, ma un percorso di riconciliazione con Dio, con noi stessi, con gli altri».

Sono tempi difficili per la pace. Eppure mai come ora è grande la richiesta, l'anelito a cominciare dalla propria piccola esistenza, «ed è così che si arriva alla pace tra i popoli e le nazioni». La Comunità registra un interesse attorno a sé sorprendente per alcuni. Non in termini di vocazioni, ché anzi i numeri si sono abbassati rispetto agli inizi travolgenti di trent’anni fa, ma tra i non consacrati. Ogni mese c’è un incontro dedicato agli sposi e ne arrivano di tutte le età. E poi ci sono i giovani.

All’Oasi appartengono uomini e donne di vari stati di vita: consacrati di vita comune, di cui alcuni presbiteri, consacrati secolari, sposi, giovani. Il carisma della pace è il fine spirituale di tutti, anche se i membri della Comunità vivono ciascuno nel proprio ambiente: i consacrati in centri spirituali denominati “Oasi di pace”, i consacrati secolari e gli sposi sul luogo di lavoro e nelle loro case, incontrandosi periodicamente, in genere una volta al mese, con gli altri membri della famiglia ecclesiale per la formazione e la preghiera. La comunità offre un piatto di pasta, il resto arriva con i visitatori che mettono in comune le pietanze. Ed è esperienza di comunità anche questa.

Scriveva così su uno degli ultimi numeri della rivista della Comunità per spiegare la regola, suor Maria Gabriella Turrin: «Come all’interno del focolare domestico si impara ad accogliersi reciprocamente e a volersi bene, così in comunità si impara a convivere insieme accogliendo le differenze di età, di carattere, di personalità, di cultura, e si matura insieme».

Insieme si decide: ogni mercoledì i consacrati e le consacrate si riuniscono per affrontare i problemi della quotidianità e le sfide future. Si sperimentano forme nuove di vita in comune. Un’esperienza che dal 2019 è parte del Foro delle Nuove Forme di Vita Consacrata, un gruppo di riflessione costituito per rispondere alle sollecitazioni del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, tese ad approfondire dal punto di vista teologico e giuridico l’identità delle realtà ecclesiali che vi partecipano, gli elementi di novità e il contributo alla chiesa e al mondo.

Camminare nel grande chiostro della Comunità ci aiuta a capire meglio questa realtà. «Medjugorje – dice ancora suor Daniela – è una esperienza, non un luogo, un’esperienza di incontro con l’amore di Dio, che cerchiamo di favorire in vari modi».

La comunità ha lì organizzato il Capodanno 2024 in forma di esercizi spirituali itineranti. Per l’anno che viene, la speranza è un Pellegrinaggio in Terra Santa. A Bologna, lo scorso anno, la Comunità, ha organizzato una missione popolare che è divenuta inter-carismatica. La missione ha coinvolto varie realtà ecclesiali e parrocchie del centro storico e vi hanno partecipato consacrati, sposi e giovani con una presenza continua, nella preghiera e nel dialogo, visite nelle case e nei luoghi di lavoro, incontri per i giovani. «Tante iniziative per irradiare la pace».

Un sentiero tra gli alberi conduce alla grande cappella del Crocefisso, con una statua di grande impatto per verismo. Conclude suor Daniela: «Chi viene per stare con noi - può essere un fine settimana, un periodo più lungo, c’è anche la formula “Tre mesi per me” – condivide la preghiera, la tavola, ma anche il lavoro della terra. Anche questa terra ci indica una via verso la pace. Come dice Papa Francesco, siamo ospiti del Creato, non i padroni».

di Francesco Grignetti
Giornalista «La Stampa»

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