· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Messi in viaggio per non morire, ma qualche volta muoiono lo stesso

La frontiera dei bambini

 La frontiera dei bambini  DCM-011
02 dicembre 2023

Qualche anno fa mi sono occupata di adattare La frontiera, un bellissimo libro del 2015 di Alessandro Leogrande sulle migrazioni, riscrivendolo in un’edizione fruibile dalle scuole, dai ragazzi di età leggermente inferiore a quelli che costituivano già il pubblico naturale del libro. Leogrande, scrittore e giornalista, era morto prematuramente due anni dopo l’uscita della Frontiera – testo curioso, tra saggio e reportage che segnava un punto di svolta nella riflessione sulle migrazioni, da cui sarebbe poi stato difficile tornare indietro, almeno letterariamente visto che le scelte politiche appaiono sorde a ogni urlo.

Nel poco tempo che aveva avuto a disposizione, Leogrande aveva girato tantissimo per le scuole superiori, dove La frontiera era stato adottato, letto, sviscerato, e dove i ragazzi lo accoglievano tempestandolo di domande e curiosità che svelavano il bisogno di conoscere meglio alcuni loro coetanei: chi erano i bambini, gli adolescenti costretti a partire per salvarsi la vita? Alcuni erano vicini, a volte compagni di classe, ma anche quelli che sembravano lontanissimi all’improvviso non lo erano più, grazie alla scrittura calda, fortemente empatica di quelle pagine. Mettendo al centro le storie delle persone, le loro vite, prescindendo quasi completamente dai numeri, usandoli cioè solo come il sostrato torrentizio di ciò che accade e di fronte a cui non possiamo fare finta di niente, Leogrande umanizzava la cronaca, la rendeva letteratura quotidiana, narrabile e viva. Mettere le mani su quel testo non era facile, era già perfetto di per sé, ma la madre di Alessandro e la sua casa editrice pensavano fosse un peccato tagliare i bambini fuori da un discorso che li riguardava. Così, armata di umiltà, mi sono messa a rileggere. E a riscrivere.

Oggi La frontiera raccontata ai ragazzi che sognano un mondo senza frontiere è un libro a parte, che ha fatto la sua strada e continua a farla. L’ipotesi era concreta, si è rivelata reale: i bambini della scuola primaria, o secondaria di primo grado, hanno fame di quelle storie. Vogliono sapere quali sono le regole dei viaggi, cosa succede a chi si mette in cammino, vogliono risposte alle domande che non sempre sanno fare: cosa si rischia davvero ad attraversare il Mediterraneo? È normale farlo pur sapendo che il rischio è quello di morire? I genitori che accompagnano i loro figli o li mandano da soli sono sconsiderati, non li amano abbastanza? Che forme prende l’amore quando si tratta di salvare qualcuno che non può scegliere per sé?

A volte le insegnanti e gli insegnanti mi chiamano a rispondere a domande del genere insieme ai ragazzi, dopo che hanno letto il libro. Accetto, anche se non sono brava come Alessandro a indicare le ragioni, a scavare nel sostrato dei sentimenti, nel modo in cui cambiano con le necessità. Ci provo, anche se non ho ascoltato le tante storie che lui ha ascoltato, registrato e poi sbobinato. Mi fido di ciò che ho letto nel suo libro, e ho poi cercato di riprodurre nell’edizione abbreviata. Guardo le facce dei ragazzi, le facce di chi leggendo ha capito qualcosa di più del mondo, o di sé, ha messo a fuoco la fortuna di essere nato nel posto giusto, nonostante tutto. O nel posto sbagliato, cioè in quella parte di mondo che permette il massacro e non trova soluzioni per impedirlo. Mi dico che bisogna accogliere le domande, che il compito dei buoni libri è quello di lasciare interrogativi, ma non è vero – non sempre, non in questo caso. Ci sono volte in cui gli interrogativi sono voragini di colpe e responsabilità, e non sentirsi chiamati a rispondere è una diserzione imperdonabile.

Perché i bambini vengono messi in viaggio per non morire, e qualche volta muoiono lo stesso?

Alessandro Leogrande aveva le ragioni, ma non le risposte. Eppure non ha mai smesso di porre la domanda, di vergognarsi per tutti noi ogni volta che veniva fuori, e di combattere con la scrittura la vergogna del silenzio.

di Nadia Terranova