· Città del Vaticano ·

Senza la mia famiglia non sono nessuno

 Senza la mia famiglia   non sono nessuno  ODS-021
04 maggio 2024

Un giorno, un piccolo studente della scuola indigena Imaculada Conceição — lo chiamerò Antônio — venne nel mio ufficio per chiedere il permesso di viaggiare con sua madre dal villaggio di Maturacá fino alla città di São Gabriel da Cachoeira. Mi opposi e gli suggerii di restare nel villaggio con suo padre. Lui mi rispose che anche suo padre sarebbe andato in viaggio. Proposi quindi che facesse compagnia ai nonni per non perdere le lezioni. «Ma padre — insistette Antônio — anche i miei nonni viaggeranno. Andremo tutti insieme, siamo una famiglia. Posso imparare molto anche da loro».

In effetti, osservando la quotidianità del villaggio Yanomami di Maturacá, nello Stato dell’Amazonas, in Brasile, ho compreso come l’educazione dei bambini sia un fenomeno troppo ampio per essere racchiuso in un solo ambiente. Sicuramente, però, ho capito che qui la famiglia è la principale responsabile di questa missione.

L’esempio di Antônio è evidente. Ha viaggiato in canoa con tutti i suoi parenti e, dopo una settimana, è tornato a scuola felice. Lungo il percorso, ha ricevuto lezioni di pesca, navigazione, ha imparato nozioni legate alla cura del mondo urbano e altre conoscenze che solo la convivenza familiare è in grado di trasmettere.

Questa non è una storia isolata. I dati raccolti nel Piano di Gestione Territoriale e Ambientale della Terra Yanomami ( pgta ) dicono che i bambini e i giovani costituiscono il 75% della popolazione locale. Avere tanti figli è una benedizione per i genitori. Ma prendersi cura della loro formazione è un compito per tutta la comunità. Perché, come si legge nel pgta , «noi, Yanomami e Ye’kwana, impariamo imitando i nostri genitori. Le ragazze imparano a trattare le piante da cui ricavare medicinali, a fare cesti e a cucire vestiti con le loro madri. I giovani impareranno solo vedendo gli anziani».

Nella cultura Yanomami i genitori e i prowëprowë (anziani) sono le colonne portanti della tradizione. Di più, sono la migliore espressione della saggezza creativa: conoscono la natura, i canti e le danze rituali, sono capaci di interpretare i segni del tempo ed educare la comunità sugli insegnamenti necessari alla vita. Sono la memoria collettiva del villaggio perché si trovano a un livello di armonia unico con se stessi e con il cosmo.

Uno degli elementi che facilita l’istruzione familiare degli Yanomami è lo stile di vita comunitario, che trova la sua definizione più precisa nello xapono. Comunemente si traduce «casa comune», ma il suo significato è più ampio, sia dal punto di vista linguistico che simbolico. Alcuni lo vedono come «l’arca amazzonica, che genera in chi vi entra “impressioni e sensazioni” difficili da descrivere o catturare».

In questa casa comunitaria ogni famiglia possiede il proprio spazio sotto un tetto coperto di foglie di ubi (Bactris) o caraná (Mauritia carana). In questo “scrigno” vegetale, le stagioni si susseguono conservando e custodendo per millenni il ricco, fragile e misterioso patrimonio di una civiltà ancora poco conosciuta. Qui la scuola è uno spazio facoltativo di apprendimento perché, nonostante gli spazi educativi, i bambini e i giovani chiedono di essere accompagnati ovunque, nei lavori quotidiani, negli spazi di riposo e di conversazione, dagli adulti. In effetti, nella concezione pratica del villaggio, l’istruzione è un compito collettivo, capace di facilitare la vita nell’ambiente della foresta, garantendo il mito, la lingua e la tradizione.

Così, solo nel villaggio i bambini riescono ad essere educati per diventare Yanomami ideali: un buon Yanomami è «waitheri, pihi toprarou, xi ihete, ohote, moyami» (coraggioso, allegro, generoso, laborioso, intelligente). Un buon Yanomami è rispettoso, sa cacciare e pescare, conosce la natura e i suoi ritmi.

Ecco quindi come la famiglia, per uno Yanamami, è tutto. Nella famiglia si trovano le condizioni necessarie per un apprendimento che valorizza le esperienze sensoriali dall’infanzia all’età adulta e che avviene in modo naturale. Senza la famiglia, non c’è storia né tradizione, né tantomeno si può sopravvivere da soli nella foresta perché, come mi diceva Antônio quando voleva partire, «senza la mia famiglia non sono nessuno, padre».

di padre José Ivanildo
de Oliveira Melo*

*Sacerdote salesiano, direttore
della missione salesiana di Maturacá
in Brasile