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Ero arrabbiato ! Poi ho incontrato chi ha curato le mie ferite

 Ero  arrabbiato !  Poi ho incontrato chi  ha curato  le mie ferite  ODS-021
04 maggio 2024

Chiamatemi Moustaba. Non è il mio vero nome, ma preferisco così. Ho solo sedici anni, ma la mia vita non è stata per niente facile.

Sono arrivato in Italia dall’Afghanistan. Mi ricordo bene quell’agosto del 2021: la paura e la confusione nei giorni della ritirata dei militari statunitensi. Con mio padre, la sua nuova moglie — mamma era morta da qualche tempo — e i miei quattro fratelli e sorelle decidemmo di andare all’aeroporto di Kabul per scappare. Siamo di etnia hazara e temevamo le ritorsioni dei talebani.

All’aeroporto c’era tanta gente che si accalcava ai cancelli. È bastato un attimo e ho perso il contatto con i miei. Al posto di controllo non capivano cosa gridassi, così mi sono ritrovato su uno degli ultimi aerei in partenza dall’Afghanistan.

Avevo solo tanta paura. Non sapevo dove mi avrebbero portato e che fine avrebbero fatto i miei familiari.

Quando sono arrivato a Pratica di Mare non stavo bene, perciò mi hanno ricoverato subito all’ospedale Bambino Gesù. Dopo le cure sono stato accolto a Casa San Giacomo, una struttura della Caritas di Roma. Ero solo con i miei cugini… non riuscivo a farmi capire… non sapevo se avrei più rivisto la mia famiglia… e, poi, il pensiero della morte di mia madre non mi lasciava.

Ero arrabbiato col mondo.

Dopo un po’ di tempo sono riuscito a mettermi in contatto con mio padre, che era rimasto a Kabul.

Sono stati mesi difficili nonostante le cure e le attenzioni degli operatori della Caritas, prima a casa San Giacomo, poi a Casa Giona, un altro centro di accoglienza per minori non accompagnati a cui ero stato affidato insieme ai miei cugini anch’essi minorenni.

Anche qui la convivenza con gli altri ragazzi, pure loro con terribili storie alle spalle, è stata tutt’altro che facile.

Volevo una casa, una famiglia. Persone con cui ricominciare o, meglio, cominciare a vivere, perché che vita è quella di un quattordicenne che ha conosciuto solo la paura e la violenza?

Oggi, quella casa e quella famiglia le ho trovate. Soprattutto ho trovato le braccia aperte di un uomo e di una donna, una coppia con un cuore grande.

Ci sono voluti mesi per conoscerci e imparare a volerci bene.

C’è voluta tutta la pazienza di questo mondo, la loro e la mia, e l’impegno di tante persone che non mi hanno mai lasciato solo, anche quando gli sbattevo la porta in faccia: il Dipartimento per le politiche sociali del comune di Roma e l’associazione “Altri legami”, che hanno cercato una famiglia a cui darmi in affido, l’assistente sociale, la mia tutrice, il giudice tutelare, i responsabili, gli educatori e i volontari della Caritas.

Oggi ho degli amici, frequento una scuola che mi piace. Faccio sport e volontariato e mi do da fare anche in casa.

Certo, non dimentico i miei che sono rimasti in Afghanistan e appena posso parlo al telefono con mio padre.

Ci sono ferite, soprattutto quelle invisibili agli occhi, che non si rimarginano mai.

Ma quando hai intorno persone attente, sensibili, buone — quelle che alla Caritas chiamano “comunità educante” — anche le ferite invisibili bruciano meno.

(La storia di Moustaba è liberamente ispirata
alla testimonianza della tutrice del minore e
degli operatori della comunità educativa della Caritas di Roma)