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Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati

 Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati  ODS-021
04 maggio 2024

Nei «Canti dalle periferie» di questo mese si mescolano sentimenti diversi: dolore e nostalgia, tenerezza e preoccupazione. Ma c’è pure una costante, perché parlare dei bambini significa innanzitutto parlare agli adulti per ricordare loro la grande responsabilità di essere genitori, educatori e, soprattutto, compagni di vita amorevoli e saggi.

Non sono
robot telecomandati

Potrebbero sembrare cose scontate, ma non è così! Accogliere la vita, sostenere chi è ammalato — e spesso è costretto ad “emigrare” per potersi curare —, porgere la mano verso gli anziani, le persone sole, quelle in difficoltà... sono valori e comportamenti che vanno sempre testimoniati e trasmessi ai più piccoli.

La società odierna premia l’individualismo e il consumismo. Ci vuole campioni, divi. Ma per i bambini non è importante essere primi, ma far parte di una squadra, imparare a stare insieme agli altri nell’oratorio, nel centro sportivo, a scuola, in biblioteca.

Per questo hanno bisogno di adulti da imitare e seguire, a partire dai genitori e dai nonni.

Bisogna rispettare i bambini: non sono robot telecomandati al servizio di un mondo che pensa solo al guadagno.

Si può essere
poveri d’amore

C’è un rapporto tra l’infanzia e la povertà. La mia infanzia, come pure la mia adolescenza, non è stata proprio felice. Mia madre morì che avevo tre anni. La seconda moglie di mio padre era una donna infelice, a volte isterica, vittima del consumismo, come vi ho già raccontato nell’articolo per il numero dello scorso mese, quando ho ricordato che, da vedova, vendette la nuda proprietà della sua unica casa per pagare i debiti accumulati giocando al gratta e vinci.

Quella donna ha segnato la vita di suo figlio (mio fratello), la mia ed ha reso difficile anche la vita di mio padre, che poi è morto per una cirrosi epatica provocata dagli psicofarmaci che prendeva per curarsi l’esaurimento nervoso.

Scrivo queste cose non per intenerire il cuore del lettore, ma nella speranza che possa trarre qualche insegnamento della mia esperienza.

Me ne andai di casa a vent’anni ed ho vissuto allegramente come una cicala. Ora mi ritrovo, assieme a mio fratello, povero, in una casa di accoglienza.

Non ho ricordi di coccole o di tenerezze, di abbracci caldi e rassicuranti. Mi ricordo solo grida e rimproveri.

La mancanza d’amore può portare a diventare poveri. Non avere chi ti insegna a distinguere le cose importanti e profonde da quelle effimere ti può portare a buttar via un bel pezzo di vita. Quindi, cari genitori che correte dalla mattina alla sera per guadagnare soldi utili per comprare ai vostri figli la maglietta firmata o, se sono più grandi, l’ultimo modello di telefonino, sappiate che fate danno. Ne farete dei poveri.

Non servono le urla di disapprovazione perché quei ragazzini non sono come li vorreste e neppure i rimproveri. Servono l’amore, il tempo, l’attenzione. Servono abbracci lunghi e caldi. Siatene generosi.

Un bambino è povero non perché non ha le scarpe belle o alla moda. È povero quando non ha amore.

Un’avventura
a chilometro zero

Nella mia vita la paura non è stata mai al primo posto. Dovevo sperimentare tutto. E quando dico tutto, intendo proprio tutto: le avventure, le donne, lo studio, il gioco, il lavoro… Tutta la mia vita è stata un continuo osare: mi sono lanciato da un aliante senza avere il brevetto; dovevo sempre corteggiare la donna più bella; non entravo mai da porte secondarie, ma dal portone principale anche quando era vietato.

Ma l’avventura più strabiliante che ha segnato profondamente la mia vita l’ho vissuta col mio babbo. Un’avventura, diciamo, a chilometro zero.

Un giorno babbo mi disse: «Oggi ti porto a fare un giro in barca a remi». Gli chiesi: «Mi fai remare?». «Certo — rispose —, ti insegno io!».

Era l’estate del 1968. Avevo tre anni e mi sentivo già un uomo: io, per la prima volta, su una barca vera, non il mio finto canottino.

Andammo al largo, lui remava e diceva: «Osserva tutto ciò che faccio e impara». Ero fiero di quella lezione e attento a ogni sua mossa. A un certo punto babbo si fermò e, avvicinandosi, mi disse: «Tra un po’ rientriamo. Remi tu! Sai farlo?».

«Sì», risposi. Lui, allora, mi prese in braccio e, urlando, disse: «Bravo!» e mi lanciò in acqua.

Mi aveva preso alla sprovvista e mentre annaspavo terrorizzato lo sentii dire: «Non piangere. C’è Dio, ci sono io e c’è il mare! Non ti succederà niente. Vedrai che resterai a galla».

Aveva proprio ragione. Stavo a galla nell’acqua alta, stavo imparando a nuotare. Fu allora che è cominciata la più bella avventura della mia vita, quella col mare.

p.s. Al ritorno, remai tutto il tempo: cinque vogate... a chilometro zero.

Non sapevo cosa fosse una carezza
Poi sono arrivati
due angeli

Ogni bambino ha la sua storia, la sua esperienza, il suo vissuto. L’infanzia può essere felice, ma anche triste come lo è stata la mia.

Chiudo gli occhi e torno a quel tempo. I miei primi tre anni sono stati duri. Non sapevo cosa fosse una carezza o un abbraccio. Intorno avevo tanti altri bambini, come me, senza una famiglia e senza affetto.

Ho tenuto duro e non ho mai mollato.

Che cos’era per me la felicità? Era qualcuno che mi volesse bene.

I miei sogni volavano via come il vento. Io ero sempre lì, triste, sola e abbandonata al mio destino. Che cosa sarebbe stato di me se fossi rimasta lì?

Ma tutto non accade per caso: due angeli mi portarono via da quella mia prima vita. Che cosa potevo desiderare di più?

Quella bambina aveva realizzato il suo sogno.

Guardo le foto di quando ero piccola insieme ai miei genitori. I ricordi sono sempre nel mio cuore. Sono immagini che appaiono come flash nella mia memoria e mi fanno tornare alla mia infanzia. Riviverli fa male. Cerco sempre me stessa, ma a volte mi perdo. È difficile trovare la strada: quale sarà quella giusta?

Rivedo il mio passato lontano nel tempo, che però è sempre lì e non mi lascia mai. A volte mi capita di passare nel mio vecchio quartiere nella zona di Piazza Bologna e di trovarmi davanti al palazzo di Viale Ippocrate dove vivevo con i miei due angeli. Alzo gli occhi al sesto piano. Che nostalgia, quanto ero felice!

Rivedo la foto della prima Comunione e poi quella della Cresima, due momenti che sono rimasti nel mio cuore. Vorrei fermare quel tempo e riviverlo. Mi manca quel tempo, ma sono felice di averlo vissuto bene. Grazie a chi mi ha voluto dare amore.

Ogni bambino è prezioso, è un dono e va amato. Ha bisogno di essere accarezzato, ha bisogno di affetto; è felice di essere nato, perché la mamma lo ha sempre amato.

Un bambino
in cassaforte

Il 25 marzo ho partecipato per la prima volta alla “festa dei compleanni” che si fa, ogni mese, all’ostello della Caritas di Roma in via Marsala. Sono stato benissimo, mi sono divertito tanto e ho capito che devo ricominciare a stare di più con gli altri, ad ascoltarli.

Ognuno di noi porta dentro di sé il bambino che è stato. Io l’avevo chiuso in cassaforte, quasi per impedirgli di diventare grande. Invece ho capito che devo dare ascolto a quel bambino che vuole giocare con lo scivolo. È lui che mi aiuta a ripartire quando sono in difficoltà, a trovare la forza per conquistare l’indipendenza.

Ciao Furio

Era un bambino bellissimo, intelligente come nessun altro, carismatico, trascinatore di grandi e piccoli.

Un bel giorno, tornando dalla partita di calcetto, disse che aveva un leggero dolore sotto l’ascella. Passa qualche giorno e la mamma decide di portarlo a fare dei controlli.

Purtroppo il responso fu drammatico. Leucemia fulminante. Se ne andò in soli 4 mesi per volare in paradiso.

La cosa più terribile per tutti noi che gli stavamo vicino e per i suoi tanti amici era la sua lucidità Era consapevole perfettamente di quello che aveva. Aveva solo 13 anni.

Un giorno che stava molto male, con una grande dolcezza disse alla mamma in lacrime che gli stava vicino: «Mamma, non piangere. Io me ne vado, ma rimane Giuliana con voi».

Questa frase fu determinante nella mia vita. Non volli avere figli. Troppo dolore negli occhi di mia madre e di mio padre. Ciao Furio. Ti abbraccio.

S.C.

Elio

Arcangelo

Lia

Pierpaolo

Giuliana